Deliri Educativi

EDUCAZIONE
L’educazione è il processo e l’attività, influenzata nei diversi periodi storici dalle varie culture, volta allo sviluppo e alla formazione di conoscenze e facoltà, sociale e comportamentali in un individuo.
Etimologicamente il termine deriva dal termine latino educĕre (cioè «trarre fuori, “tirar fuori” o “tirar fuori ciò che sta dentro”), derivante dall’unione di ē-(“da, fuori da”) e dūcĕre (“condurre”).
La parola educazione è spesso ritenuta complementare di insegnamento o istruzione anche se quest’ultima voce tende ad indicare metodologie più spiccatamente “trasmissive” dei saperi. Tuttavia, sebbene le strategie istruzionali possano essere parte di un percorso educativo, il significato dieducazione è più ampio e mirante ad estrapolare e potenziare anche qualità e competenze inespresse.
Se dal punto di vista etimologico il significato della parola appare chiaro, nella lingua italiana il suo utilizzo, rispetto a termini come istruzione o formazione, è talvolta equivoco anche in testi normativi e pedagogici. In italiano poi il termineeducato è anche sinonimo di un individuo che segua una condotta sociale corretta rispetto a norme non necessariamente codificate (benché di generale condivisione), le cosiddette “buone maniere” quali la “gentilezza”, l'”urbanità” ecc. Un altro motivo di confusione è anche dovuto al diverso uso che si fa del termine educazione in altre lingue (ad es. nella lingua inglese con “education” si tende spesso ad indicare “istruzione”).
La prima disciplina che studiò sistematicamente i problemi dell’educazione fu la pedagogia, che si concentrò sull’educazione infantile. In tempi moderni nacquero poi le scienze dell’educazione e della formazione, che trattarono anche l’educazione continua in età adulta, rendendo questa accezione di “formazione” un sinonimo di educazione.

 

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UNA STORIA
Raccontano i nostri più antichi saggi che i primi fra gli dei, quelli che avevano creato il mondo, crearono quasi tutte le cose ma non tutte, perché sapevano che qualche cosa lo dovevano creare anche gli uomini e le donne. Per questo gli dei che avevano creato il mondo, i primi fra gli dei, se ne andarono quando il mondo non era ancora completo. Se ne andarono senza terminarlo non perché fossero pigri, ma perché sapevano che ad alcuni tocca cominciare, ma finire è un lavoro che spetta a tutti. Raccontano anche, i più antichi fra i nostri vecchi, che i primi fra gli dei, quelli che avevano creato il mondo, avevano una loro bisaccia in cui conservavano le cose che rimanevano in sospeso nel loro lavoro. Non per farle in seguito, ma per ricordare quello che sarebbe dovuto succe­dere quando gli uomini e le donne avessero terminato il mondo che nasceva incompleto.
Se ne andavano già gli dei che avevano creato il mondo, i primi fra gli dei. Se ne anda­vano come la sera: come spegnendosi, come coprendosi con le ombre, come se non ci fossero anche se lì c’erano ancora. Allora il coniglio, arrabbiato con gli dei perché non lo avevano fatto grande nonostante avesse eseguito gli incarichi assegnatigli, andò a rodere la bisaccia degli dei senza che questi se ne rendessero conto perché faceva già un po’ buio. Il coniglio avrebbe voluto rompere loro tutta la bisaccia, ma fece rumore e gli dei se ne accorsero e lo inseguirono per castigarlo del misfatto che aveva compiuto. Il coniglio scappò via veloce. Per questo i conigli mangiano come se fosse un delitto e scappano veloci se vedono qualcuno. Il fatto è che, anche se non era riuscito a rompere tutta la bisaccia dei primi fra gli dei, il coniglio era però riuscito a farci un buco. Quando gli dei che avevano creato il mondo se ne andarono, dal buco della bisaccia caddero tutte le cose in sospeso che stavano dentro. I primi dei non se ne resero conto ed arrivò uno, che chiamano vento, che si mise a soffiare e soffiare e le cose in sospeso si sparsero da una parte e dall’altra, siccome era notte, nessuno si rese conto dove fossero andate a finire tutte quelle cose in sospeso, che erano le cose che dovevano ancora essere create affinché il mondo fosse completo.
Quando gli dei si accorsero del misfatto si agitarono molto e diventarono molto tristi e alcuni dicono che piansero perfino; per questo dicono che quando sta per piovere, dap­prima il cielo fa molto rumore e poi scende l’acqua. Gli uomini e le donne di mais, quelli autentici, udirono gli strilli perché è così: quando gli dei piangono si sentono da lontano. Gli uomini e le donne di mais andarono a vedere perché i primi fra gli dei, quelli che avevano creato il mondo, stessero piangendo e, tra i singhiozzi, gli dei raccontarono ciò che era successo. E allora, gli uomini e le donne di mais dissero: “Non piangete più, noi andremo a cercare le cose in sospeso che avete perduto, perché ora sappiamo che ci sono delle cose in sospeso e che il mondo non sarà a posto fino a che tutto non sarà fatto e sistemato per bene”. E gli uomini e le donne di mais proseguirono dicendo: “Allora chiediamo a voi, ai primi fra gli dei, a voi che avete creato il mondo, se per caso vi ricordate qualcuna delle cose in sospeso che avete perso, così noi possiamo sapere se quello che troveremo è una cosa in sospeso o invece qualcosa di nuovo che sta già nascendo”.
1 primi dei non risposero subito perché i singhiozzi che li scuotevano non li lasciavano neppure parlare. Ma poi, mentre si asciugavano gli occhi dalle lacrime, dissero: “Una cosa in sospeso è che ognuno si trovi”.
Per questo i nostri più antichi dicono che, quando nasciamo, nasciamo persi e che man mano che cresciamo ci troviamo, perché vivere è cercare, cercare noi stessi.
E già più calmi, gli dei che avevano creato il mondo, i primi fra gli dei, proseguirono dicendo: “Tutte le cose in sospeso da creare nel mondo hanno a che vedere con ciò che vi abbiamo detto, col fatto che ognuno si trovi. Così saprete che ciò che trovate è una cosa in sospeso da creare nel mondo se vi aiuta a trovare voi stessi”.
“Va bene”, dissero gli uomini e le donne autentici, e si misero a cercare dappertutto le cose in sospeso che dovevano essere create nel mondo e che li avrebbero aiutati a trovarsi.
Il Vecchio Antonio finisce le tortillas, la sigaretta e le parole. Si ferma un attimo a guardare un angolo della notte. Dopo qualche minuto dice:
“Da allora passiamo tutto il tempo cercando, cercandoci. Cerchiamo quando lavoriamo, quando riposiamo, quando mangiamo e quando dormiamo, quando amiamo e quando sogniamo. Quando viviamo cerchiamo cercandoci e cercandoci cerchiamo quando mo­riamo. Per trovarci cerchiamo, per trovarci viviamo e moriamo”.
E come si fa per trovare se stessi? ho chiesto.
Il Vecchio Antonio si soffermò a guardarmi e mi disse, mentre preparava un’altra siga­retta di foglie di mais:
Un antico saggio zapoteco mi disse come. Te lo dirò, ma in spagnolo, perché solo quelli che si sono trovati possono parlare bene la lingua zapoteca che è il fiore della parola e la mia parola è solo seme e ce ne sono altre che sono fusti e foglie e frutti e questo trova chi è completo. Il padre zapoteco disse:
“Percorrerai tutte le strade di tutti i popoli della terra, prima di trovare te stesso” (Niru zazalú guiràxixe neza guidxilayú ti ganda guidxelú lii).
Presi nota di ciò che mi diceva il Vecchio Antonio quella sera mentre marzo ed il giorno si spegnevano. Da allora ho percorso molte strade, ma non tutte, e ancora mi cerco nel volto di ciò che è seme, fusto, foglia, fiore e frutto della parola. Per essere completo mi cerco con tutti e in tutti.
Nella notte lassù in alto una luce ride, come se si incontrasse nell’ombra che sta qui sotto.
Marzo se ne va. Però arriva la speranza.
Subcomandante Insurgente Marcos Juchitàn, Oaxaca, Messico, 31 marzo 2001
Marcos racconta che gli dèi crearono il mondo incompleto. Non lo fecero così per pigrizia ma per principio, per convinzione, perché pensavano che “alcuni devono co­minciare, ma completare è lavoro di tutti”. Simpatici questi dèi, poco onnipotenti, poco perfetti o poco padroni di certezze. Erano degli dèi quasi umani: incompleti, desiderosi di conoscenze, audaci. Piangevano, ridevano e pativano il dolore. Notarono che la cre­azione di un mondo esige la partecipazione di tutti coloro che lo abiteranno, che la prima creazione – pertanto, specchio di ogni creazione – rivela qualcosa di un movi­mento iniziale che instaura il nuovo e apre le porte affinché gli altri siano partecipi della creazione. Essi percepirono anche che non esiste una creazione individuale, una creazione che non comporti anche l’intervento degli altri.
In questo modo, forse gli dei stanno creando un principio interessante per concepire l’insegnamento della filosofia e l’educazione in generale. Questo principio è assente nei sistemi educativi contemporanei, molto più intensamente nei nostri paesi emargi­nati. Nei nostri paesi sono ogni volta di meno coloro che sono inclusi nel sistema e, la cosa peggiore, è che tra questi inclusi sono sempre molti di più quelli che partecipano all’inizio, rispetto a quelli che partecipano alla fine, sono di più quelli che iniziano rispetto a quelli che completano.
Diciamo che ci sono due forme basilari di esclusione: quella interna, episodica, fluttuante, che ha luogo all’interno di ogni scuola, all’interno di ogni aula; dall’altro lato, un’esclusione esterna, endemica, strutturale, provocata da ragioni politiche, eco­nomiche, culturali, che attraversano il sistema educativo. Entrambe contribuiscono a creare un panorama desolante.
Questi dèi suggeriscono che non c’è creazione se non c’è partecipazione di tutti nella creazione. L’educazione è forse una delle dimensioni della vita umana dove que­sta missione creativa si attua in maniera più radicale: sembra impossibile educare, se non si fa di questo atto, soprattutto, un’azione creatrice. Ci sono condizioni per la cre­azione nelle istituzioni educative dei nostri tempi? Come pensare alla creazione, nei paesi emarginati, quando molti bambini e molte bambine vanno a scuola soprattutto per avere la loro razione di cibo quotidiano o per scappare da un contesto violento e minaccioso? Perché negarlo? Se l’educazione non può rinunciare alla sua dimensione creatrice, l’educazione contemporanea è veramente in crisi. Ma questo è un altro di­scorso. Qui mi interessa distinguere il valore e la fecondità di alcuni principi, per pen­sare all’insegnamento della filosofia.
Di Walter Kohan,“Infanzia e Filosofia”, Morlacchi Editore.
MODULISTICA A CONFRONTO
In questa sessione pubblicheremo gli strumenti con cui lavoriamo e invitiamo a inviarci quelli che usate al fine di poterli confrontare e capire quali siano i più efficaci.
Scheda osservativa
P.E.I.
Verifica
Come scrivere un Progetto
Qui trovate Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione.